ho sempre l’impressione che nessuno mi veda, solo i miei capelli!

Ci siamo fermati di fronte alla spiaggia; gettata l’ancora, la tradizione vuole un tuffo in mare immediato ma oggi non ho proprio voglia. Come al solito siamo arrivati sull’orlo del litigio trattenuti soltanto dalla buona educazione e da un calcolo di sana opportunità. Costretti in questi pochi metri quadrati a convivere a stretto contatto con poco meno che sconosciuti non ci sembra davvero opportuno manifestare l’insofferenza che ha ormai superato il livello di guardia; tanto se ne sono già accorti tutti lo stesso, almeno evitiamo di dare spettacolo.

Tutto è cominciato ad andare storto quando ho visto Stefano tornare dall’ufficio entusiasta dell’idea: Lavinia, la sua collega preferita, aveva un nuovo fidanzato, tal Armando; questo Armando, simpaticissimo, coltissimo, interessantissimo (dice Lavinia, perché lui non l’ha mai visto) è anche ricchissimo e ha proposto a Lavinia di passare tre settimane in barca tra le isole greche e siccome Lavinia non se la sentiva di andarci con un gruppo nel quale non conosceva nessuno, ha ottenuto che Armando invitasse anche noi. Fantastico, vero?

“E a te, l’idea di passare tre settimane in barca con la tua ‘amica’ Lavinia, non ti par vero!” Non avrei dovuto, lo so, ma questa storia di Lavinia comincia a starmi stretta; devo ammettere che è colta, simpatica, interessante, divertente, ma proprio per questo. Spesso mi sembra che a Stefano piaccia un po’ troppo! Ma quella volta l’ha presa male, di solito mi prende in giro per le mie gelosie, fa finta di credere che io faccia apposta a mostrarmi gelosa per farlo sentire desiderato; io gli do corda mordendomi le mani di nascosto.

Ma avrò pure qualche ragione, no? Com’è Stefano lo sapete, sempre al centro delle attenzioni, soprattutto femminili, e io gli giro attorno come una pallida luna. Che poi le sue amiche mi sembrano tutte bellissime, allegre, spiritose, attive, interessate, come Lavinia per esempio. E non ditemi che neanche io sono una brutta ragazza o che so parlare in modo competente un po’ di tutto, non è questo: è che, capelli a parte, sono un po’, come dire, sì, pallida, come una luna, scialba come una costellazione lontana.

Mi hanno chiamato Berenice. Quando ero piccola mia madre mi raccontava di questa bellissima regina con i capelli così belli che gli dei li hanno rubati per tenerseli in cielo vicini a loro e a me li faceva crescere lunghi e me li ero ritrovati biondi, folti, luminosi. Ero molto orgogliosa del mio nome e dei miei capelli, almeno fino alle medie. Ci eravamo appena trasferiti, in classe non conoscevo nessuno, era l’unica con i capelli così lunghi, e biondi. Ho sopportato per un po’, mia madre ha tentato diverse acconciature mimetiche; alla fine ho pianto per due giorni dopo essere arrivata con mia madre alla conclusione che forse era meglio tagliarli, tanto avrei potuto farli ricrescere quando avessi voluto; αγάπη μου.

Anzi forse è qui, molto prima, che tutto è cominciato ad andare storto: i nostri genitori, miei, di Dafne e di Filippo, erano appassionati estimatori della cultura greca. Ci hanno fatto crescere tra miti e leggende ovviamente, ma l’abbiamo scoperto dopo, edulcorati e adattati per le nostre giovani orecchie; miti e leggende che si ammantavano di mistero anche per l’uso della lingua. Mi spiego: usavano spesso il greco per i vezzeggiativi, αγάπη μου era il nome con il quale più spesso ci chiamavano, ma usavano la lingua soprattutto tra di loro quando non volevano farci capire che cosa si stessero dicendo.

Da bambini era come un gioco, cercavamo di interpretare i loro discorsi cifrati che ci facevano ridere con quegli strani suoni inconsueti. Ho ancora in mente Filippo piccolino che si arrampica su papà cercando di guardargli dentro la bocca per vedere se c’è dentro qualcun altro che parla. Poi abbiamo cominciato ad andarci in vacanza, in Grecia. Certo c’era il mare ma i loro interessi erano più ‘elevati’ e ci hanno trascinato per vicoli e sentieri bollenti cercando di farci apprezzare cumuli di pietre e raccontandoci storie, e storie, e storie. Mentre loro parlavano orgogliosi con i locali quella strana lingua a noi vietata.

Che poi a dire il vero, quando mi sono documentata ho scoperto che la storia di Berenice (Berenice II Euergetis, quella dei capelli) non era proprio come me la raccontava mia madre, che era stata uccisa da suo figlio e che non era neanche greca. Anzi tutte, non proprio tutte, quasi, le regine di nome Berenice hanno fatto una brutta fine.

Quindi capirete bene perché ho cominciato presto a odiare la Grecia e tutto ciò che le gira intorno. E Stefano lo sapeva, glielo avevo raccontato mille volte. Ma non sarebbe stata una vacanza culturale, diceva, saremmo piuttosto partiti alla ricerca delle mille spiagge deserte delle isole greche. Che naturalmente a me è venuto subito in mente ”un’isola deserta tipo c’ho presente due chilometri di spiaggia vuota col capanno e i pescatori ma contando tutti quelli che mi dicono ‘sta cosa io mi chiedo quante cazzo di isolacce deve averci questa merda d’una Grecia”. Perché sono un’esperta, una profonda conoscitrice di tutto ciò che prova a intaccare la visione della Grecia come nazione felice. Sono perfino stata una grande estimatrice della troika! Che gli stava bene!

Ma alla fine ho accettato, d’altronde sono luna, mica splendo di luce mia. Anche i capelli. Non li avevo più fatti crescere, poi Stefano ha visto delle mie foto da ragazzina e mi ha chiesto, come potevo dirgli di no, di provare a farli ricrescere. Lo so, sono davvero belli; peccato che mi costino un botto di tempo a tenerli a posto e a curarli e alla fine quando incontro persone nuove ho sempre l’impressione che nessuno mi veda, solo i miei capelli! Ma a Stefano piacciono tanto e anche mia mamma ha ricominciato a farmi complimenti e tenerezze.

Per programmare la vacanza ci siamo visti due volte: Armando e Lavinia, Stefano e io, Paolo e Francesca (lo so fa ridere ma è così) due amici di Armando e Chiara. Se abbiamo capito bene, Chiara è una specie di cugina povera, viene in vacanza con noi ma fa un po’ da marinaio/cuoco; non ne abbiamo praticamente mai sentito la voce. Perché Armando oltre che ricco è anche generoso; abbiamo cercato di contribuire al costo della barca finché non abbiamo capito che la barca è sua e che la recupereremo a Creta insieme allo skipper, perché ci sarà anche uno skipper naturalmente. Il progetto, abbastanza vago, è partire da Creta verso la Calcidica.

Ecco, in realtà è proprio qui che tutto ha cominciato ad andare storto: sappiamo benissimo che non ce la faremo ad arrivare fin lassù ma gli uomini hanno cominciato a fare della facile ironia ponendo come obiettivo il Monte Athos, Francesca, Lavinia e io puntiamo piuttosto su Kassandra, non che ne sappiamo qualcosa ma ci piace il nome e dare contro ai maschi; Chiara naturalmente non si esprime. Decideremo in viaggio ma con il timone in mano loro, sappiamo già che partiamo sconfitte, come se non ci bastasse tutta la vita. Risaliremo tra isole e isolette alla ricerca di quelle cazzo di spiagge deserte e mangeremo pesce fresco nei capanni dei pescatori. Mah!

Da lì è stato un susseguirsi di bisticci e di dispetti, molti partiti per scherzo poi lo scherzo è diventato abitudine e nessuno è stato più in grado di distinguere. Non abbiamo avuto bisogno di cercare pretesti, tra la scelta di che cosa mettere nei bagagli, il viaggio da Orio (Armando e Chiara ci hanno preceduti e ci aspettano a Creta), fare cambusa, definire le prime tappe, dove cenare, insomma niente ma proprio niente è filato liscio. E pian piano ho cominciato a sentirmi sola. Paolo e Francesca se stanno il più possibile per conto loro, non so come facciano a stare tanto tempo in cabina dove con tutta l’aria condizionata comunque si soffoca, mentre fuori c’è tutta questa bellezza. È vero che a volte i sorrisi e la cortesia forzati non riescono a coprire la tensione che si taglia con il coltello ma non mi sembra davvero carino. Chiara ha sempre qualcosa da fare e comunque il suo apporto alla vita sociale è nullo; lo skipper è un greco di poche parole che mastica un po’ di inglese e che deve aver capito subito che lo odio, come tutti i greci.

Quindi non so davvero dire quando tutto è cominciato ad andare storto ma so quando ho capito non si poteva più raddrizzare. Ci eravamo infilati in un braccio di mare tra due isolette, Alonissos e Peristera, a detta dello skipper la prima è turistica, sempre secondo gli standard greci, la seconda assolutamente selvaggia. Armando bramava una birra seduto al bar, Stefano gli dava man forte (lui che la birra non la beve mai e neanche gli piace), io ero affascinata dall’idea di un’isola davvero selvaggia e contavo su Lavinia per almeno far rimarcare il punto. Ma lei niente, eppure so che sentiva il richiamo del mio sguardo e che lo sfuggiva. Se ne è stata zitta. Ho provato a prendere da parte Stefano per ricordargli di quante volte avevamo sognato di perderci in un luogo deserto e selvaggio e di quanto non amasse la birra: mi ha detto che se avevo alternative mi bastava proporle ma si capiva che era certo che non l’avrei fatto e che se anche l’avessi fatto non sarebbe cambiato nulla. Avrei voluto strozzarlo, cavargli gli occhi, sbudellarlo come faceva con i pesci che pescava (cercavo sempre di non guardare ma non so perché quella vista orribile mi calamitava). Non ho fatto niente, non ho detto niente. Abbiamo gettato l’ancora davanti alla spiaggia di Agios Dimitrios ma nessuno si è tuffato in mare.

Armando, Stefano e Lavinia si sono precipitati a liberare il tender per scendere a terra scherzando come tre cretini, soprattutto Stefano. Non volevo farmi vedere a piangere e mentre Paolo e Francesca riemergevano dalla cabina accolti dagli ululati sfottenti dei tre, sono scesa sottocoperta. Non c’era neanche bisogno di dirlo che non sarei scesa a terra con loro. Il lavoro è stato lungo e faticoso con le forbicine delle unghie ma mi sentivo ad ogni colpo più leggera, più libera. Mi sono guardata allo specchio, ero davvero orribile ma mi sorridevo come non mi capitava più da tempo. Sono risalita mentre Chiara mi seguiva con lo sguardo, credo che abbia perfino fatto un piccolo gesto di saluto. Mi sono tuffata e ho cominciato a nuotare verso Peristera, se la corrente non fa scherzi saranno un paio di chilometri e senza il peso dei capelli non sarà certo un’impresa.

avevamo sognato di perderci in un luogo deserto e selvaggio