
Sapevo che non avrei dovuto chiedere. Tanto la risposta la conoscevo già: “Difficile? No… anche i bambini” “Ma è segnato?” “Benissimo” “Ma può venire a piovere?” “Macché, si metterà al bello”.
E che cosa mi aspettavo? Che mi dicesse che era difficilissimo e c’era rischio di incontrare lupi, orsi o yak? Tanto per avere la scusa con me stesso di lasciar perdere? Certo che se non avessi chiesto avrei potuto dirmi che il dubbio veniva, visto l’attacco non proprio invitante, seminascosto tra la vegetazione troppo alta e segnalato malamente da un cartello sdraiato per terra con l’aria di essere stato abbandonato da troppo tempo. E poi è nuvolo, potrebbe anche venire a piovere, se dai retta ai locali non piove mai.
Invece avevo chiesto e nonostante la risposta scontata non potevo più abbandonare. Che cosa avrei potuto ancora inventarmi per non perdere la faccia? Ho un io particolarmente esigente e poco incline alla comprensione delle debolezze umane, soprattutto le mie.
D’altronde il baretto sembrava messo lì apposta, per distribuire rassicurazioni. Ha un’aria così “autentica”, senza insegne o pubblicità, un poco malandato. Il tizio al banco non particolarmente cordiale e nemmeno molto pulito, almeno all’apparenza, mi stava preparando un caffè, non sapevo che cos’altro chiedere a quell’ora del mattino, che già mentre scendeva dalla macchina sembrava pessimo. E lo era. Insomma il contrario delle trappole per turisti ormai disseminate un po’ dappertutto in giro per le valli della zona. E poi è piazzato proprio poco prima che la strada malamente asfaltata si trasformi in una sterrata che va a perdersi nell’erba poco più avanti. Se c’è dietro un uomo immagine deve essere un genio.
Ma per cosa poi? A quanto mi risulta non c’è business da fare qui intorno. Forse dei briganti nascosti tra gli alberi per depredare i poveri camminatori fiduciosi. Se è così li ho fregati. Credo di averlo perso il sentiero, dovrei pensare a tornare indietro. Tanto la strada deve essere per forza laggiù tagliando il bosco in pendenza.
Che se c’è una cosa che odio sono proprio i sentieri così, con le foglie marcenti che ti fanno scivolare continuamente, se non stai più che attento e anche se stai attento. Ma forse non è il sentiero che è tagliato così, è che l’ho perso. Segnato benissimo un cazzo!
Sono già stanco. Non ho guardato l’orologio quando sono partito, saranno meno di tre ore e sono già stanco. Questo camminare in declivio con i piedi costantemente incerti è faticosissimo! Di solito non mi stanco così in fretta, ma è anche passato qualche anno dall’ultima volta che ho camminato in montagna, da quando Greta mi ha lasciato.
Era lei l’appassionata, camminatrice instancabile, arrampicatrice al limite dell’incoscienza. Forse è anche per dimostrare a me stesso (ma quante volte ancora dovrò dimostrare cose a me stesso?) che posso fare cazzate anche senza di lei che mi sono messo su questo sentiero, ammesso di esserci ancora sul sentiero, chiedendo informazioni al barista.
Non avrei dovuto. Né l’una né l’altra cosa.
Sono stanco, forse il sentiero è davvero duro –sì… anche i bambini stocazzo!–, forse l’ho perso, forse sono troppo vecchio, forse non sono più allenato; questa è davvero la peggiore delle scuse e la meno probabile. Comunque devo decidere che fare. Vado avanti ancora un po’ poi vedo.
Sulla guida, se guida si possono chiamare quei due foglietti fotocopiati che ti danno alla proloco di G***, c’è scritto che “Le rovine della chiesetta di San Pancrazio richiamano l’interesse dell’escursionista attento per l’interesse storico dei resti medievali straordinariamente ben conservati ma soprattutto per lo splendido panorama che si apre alla vista dopo la salita”. Che sapendo leggere bene tra le righe le parole chiave – rovine, escursionista, resti, salita – vuol dire che ci sono quattro sassi raggiungibili facendosi il mazzo per vedere un panorama come ce ne sono tanti. Per questo hanno messo il baretto, per chi sa leggere!
Comunque sui quei due foglietti non c’è molto altro quindi dopo tre giorni o dai per conclusa la caccia alla scoperta dei dintorni o ci provi. Ci ho provato, mi sono perso, credo, e sono stanco. Ma che ci posso fare? Vado avanti ancora un po’!
Cerco di capire se qualche passaggio tra gli alberi – in tanti anni di gite in montagna non ho ancora idea di che alberi siano – rivela tracce di un passaggio più frequente. Ma chi vuoi che ci venga in un posto così, non mi ricordo nemmeno perché ho deciso di passare proprio a G*** queste due settimane che cominciano a prospettarmisi come una specie di incubo.
Non è che la pensione sia pessima, certo non vale il prezzo esorbitante che ho accettato di pagare. Forse quando ho prenotato su Booking ero ottenebrato dalla voglia improvvisa di rivalsa che mi avevo preso. Si mangia anche benino ma come si potrebbe mangiare a Rimini, solo che là almeno fanno tortellini (loro li chiamano cappelletti), brodetto e bomboloni, qui il menù è quello che si vuole internazionale, che in realtà significa banale, senz’anima.
Ma fuori non c’è proprio niente da fare. A parte il concerto della banda la domenica mattina, da far piangere anche se morti diverse decine di compositori. C’è una fiera di cui sono orgogliosissimi ma è il mese prossimo, e quattro bar. Ho deciso che mi rifiuto di prendere la macchina per inseguire chissà quali attività culturali nel paese più grande a “soli” venti minuti, che poi di sera meglio mettercene trenta o più, visto lo stato delle strade.
Intanto andando avanti. Sempre cercando le tracce di un sentiero che comincio a dubitare esista davvero sono arrivato ad un vallone che taglia in diagonale il mio tragitto ideale, nel senso che è quello dove la carta che ho studiato prima di partire, il senso di orientamento e soprattutto l’istinto, mi dicono di dovermi dirigere.
Scendere giù e risalire dall’altra parte non se ne parla, d’altronde la vegetazione sembra bella fitta a proteggere uno scheletro di massi erratici appuntiti come denti di un enorme dinosauro. Di sicuro se ci fosse un sentiero si vedrebbe bene. L’unica è risalire costeggiandolo anche se mi riporta un poco indietro rispetto alla mia direzione, fino a che diventi meno profondo. O a incontrare le tracce del sentiero che, a questo punto ne sono certo, ho perso ma che deve trovarsi da qualche parte un po’ più in alto.
Va be’, anche questa è una cavolata, camminare proprio sul bordo scivoloso di foglie del vallone per non indietreggiare di qualche metro. Ma oggi è il giorno!
Sto scivolando, anzi rotolando. Istintivamente evito di contrastare la forza di gravità e scendo assieme al letto di foglie che mi accoglie e mi avvolge. Ho perso gli occhiali, ormai posso chiudere gli occhi, sto perdendo anche i sensi?
Non rotolo più. Non ho dolori; non ho dolori?? Non ho dolori. Niente di rotto quindi. Apro gli occhi. Mi tiro su pianino. E davanti a me lo vedo, il panorama. E poco più in là i ruderi, avevo ragione, sono quattro sassi. Quindi il sentiero era più in basso di me, avrei dovuto scendere. Scendere, sono sceso. Un po’ scompostamente ma sono sceso.
Comunque adesso godiamoci il panorama.
Il cielo adesso è limpido, camminando nel bosco non mi ero reso conto che fosse così migliorato, solo qualche nuvoletta sparsa. Giù in fondo si vede perfino la striscia blu del mare. Tutt’intorno cime e valli di ogni verde possibile. Nelle valli più strette qualche fiocco bianco di nebbia ristagnante. E la luce del sole che viene da destra, non pensavo che fosse già così tardi, gioca con le nuvole a disegnare ombre mobili sul tutto.
C’è un piccolo spiazzo erboso delimitato sullo strapiombo da una palizzata in legno sorprendentemente ben tenuta. C’è una persona seduta in terra immobile con le gambe penzoloni e le braccia appoggiate sul trave mediano. Quindi non sono l’unico valoroso!
Mi sente avvicinare, si gira, si alza, sorride. Wow! È una ragazza, cioè una signora, avrà forse la mia età, se la porta bene anche di più, ma è davvero una bella signora. Con un bellissimo sorriso. Vedi vedi che questa avventura riesce a concludersi bene.
“Buongiorno!” faccio, bello allegro e squillante. “Finalmente! L’aspettavo!” fa lei.
Come mi aspettava? “Sì, l’aspettavo per partire” “??” “Qui il posto è talmente bello!” “??” “Un posto così bello non può stare senza occhi che lo ammirino, quindi c’è sempre uno di noi qui, per evitare che tutti lo dimentichino e poi sparisca. È come essere di guardia a un tesoro” “??” “L’ultimo che arriva rimane fino a che arrivi il prossimo. Io sono qui da quasi sei anni” “Sei anni?”
“Eh sì, sei anni. Ma dai, passano in attimo, è così bello qui. E poi, in fondo, più tempo passa meglio è. No?” “??”.
“Beh, adesso devo proprio andare. Buona permanenza. Posso?” Ha fatto un mezzo passo avanti, mi guarda con tenerezza. Protende le labbra per appoggiarmi un bacio leggero sulla guancia. “Ciao. Ci vediamo su”.
E svanisce lentamente.

Un racconto assolutamente delizioso.
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