Hanno nere le pareti, nero il palco a livello zero

Mi piace andare a teatro. Proprio la sensazione fisica di essere immerso in una costruzione di realtà, finta ma non falsa, direbbero gli addetti ai lavori. Costruzione condivisa con gli altri del pubblico, dove autori, interpreti, registi e tecnici sono al tempo stesso
materia e forza lavoro.

Mi piace il repertorio classico, i concerti, soprattutto jazz, il balletto, l’opera, quasi tutto insomma anche se credo di essere abbastanza esigente. Ma quello che mi piace forse di più è il cosiddetto teatro sperimentale o il teatro d’innovazione. Forse proprio perché non esiste, o non è palese, certo non viene fornito al pubblico, un progetto rigoroso, mi sento più libero di apportare il mio contributo alla costruzione della realtà che sarà qui e ora solo mia e di quelli in sala con me.

Seguo quindi con attenzione i programmi delle sale che privilegiano questo tipo di produzioni. Quando ci ho trovato una rassegna di musica classica mi sono meravigliato. E mi sono chiesto perché; non tanto perché la rassegna ma perché io mi meravigliassi. E ho constatato un mio pregiudizio: un pregiudizio architettonico!

Nella mia testa, i teatri, nel senso di sale teatrali, si possono classificare anche in base alla struttura e all’arredamento. Proprio da questo discende, nella mia testa, il pregiudizio.

Ci sono i teatri classico/pomposi, tutti ori e decori, panni rossi e lampadari di cristallo a goccia, come i teatri d’opera o il Politeama Greco (consentitemi gli esempi territoriali da salentino recente). Ci sono i moderno/razionalisti un po’ freddini, belli puliti e, soprattutto, tendenzialmente scomodi, da sedersi un po’ sul fianco con le ginocchia in bocca, tipo l’Arcimboldi o lo Strehler. L’Apollo in realtà non è poi così scomodo.

Quelli che definisco bomboniere sono i teatri a dimensione raccolta e possono essere anche molto diversi tra di loro, dal paradigmatico Teatrino di Vetriano, al Real Teatro di Corte di Caserta, al Palladio di Vicenza fino al nostro Paisiello. Ci sono poi decine, forse centinaia di Cinemateatro che resistono Teatro nonostante l’estinzione dell’avanspettacolo; tendono purtroppo a scomparire, come l’Antoniano. Amo le sale popolar/militanti con i pavimenti freddi, le sedie scompagnate e la passione che traspira dai muri come il Comunale di Ruffano. Infine, ma solo per dovere di ospitalità, i neri (avrei preferito chiamarli tetri ma teatri tetri proprio non si può sentire). Hanno nere le pareti, nero il palco a livello zero, e a volte anche le sedie sui gradoni ripidi. Spesso occupano uno spazio ex industriale. Esempio tipico il Libero di Milano. Lo so vi aspettavate altro. Ok, anche Koreja.

Ma veniamo al mio “pregiudizio architettonico”: era (sì, un po’ lo è ancora, lo confesso) associare ad ogni tipologia di sala, una certa tipologia di spettacoli, ampia fin che volete, non esclusiva, naturalmente, ma pur sempre sgradevolmente restrittiva.

Non avevo mai associato ai “neri” la musica classica.

Ma, fortunatamente, il teatro serve anche a questo: a emergere dai pregiudizi!

Questo articolo è stato pubblicato online su Koreja Magazine https://www.teatrokoreja.it/magazine/ il 4 gennaio 2021.