Questo racconto ha ricevuto una menzione d’onore al Concorso Letterario Nazionale
“La rinascita”, marzo 2021.

A fatica cercava di tirarsi su per scavalcare l’argine dei grossi massi che la frana aveva trascinato in basso e le piogge che cadevano ormai da giorni avevano pulito dalla terra. Salendo si era fatto male alla sinistra, adesso avvolta con un pezzo di stoffa tagliato via dalla camicia che aveva infilato nello zaino per potersi cambiare. Tanto ormai era tutto bagnato fradicio, dentro e fuori dallo zaino, anche dentro il petto gli sembrava di essere fradicio. Gli sembrava di aver respirato acqua e non sapeva se era la pioggia che continuava a cadere o le lacrime che non riusciva a versare.
Non sapeva neanche perché si stava arrampicando lassù. Non ne poteva più di aspettare chissà cosa, una notizia, una schiarita, un’altra zuppa calda, dentro la tenda dove lo avevano parcheggiato con altri vecchi senza lacrime come lui. Gli avevano detto che la frana aveva trascinato via tutto, che la terra si muoveva ancora, che l’acqua stava continuando a scavare sotto le fondamenta della montagna, insomma che era davvero pericoloso e inutile.
Ah, se solo nella sua vita non fosse stato così prudente, così avaro delle proprie risorse e delle proprie passioni, se avesse ogni tanto, mica sempre, scelto il pericolo invece della sicurezza, se non avesse sempre dato retta a chi gli diceva, e tra chi lo diceva più forte c’era sempre il ricordo della voce di suo padre, che non ne valeva la pena, che tanto era inutile.
Non si può cambiare il mondo, non si può cambiare la testa della gente, non si può cambiare il proprio destino, meglio tenersi stretto il poco che si ha.
E adesso non aveva niente da tenersi stretto. I pezzi della sua casa erano da qualche parte tra i sassi, la terra e i tronchi abbattuti dalla frana, mescolati alle poche cose raccolte in una vita che non aveva lasciato ricordi nella sua testa. O forse era la pioggia che li aveva lavati via, come la terra dai grossi massi che stava cercando di salire.
Quando la frana era partita lui stava scendendo in valle, doveva vedere il Carlino per la vendita del formaggio che avrebbe fatto quest’anno più abbondante del solito e intanto portava una cesta di uova, da vendere o anche da regalare, lui comunque non sapeva che farne. Chissà dov’erano finite adesso le uova; quando la testa gli si era riempita del rotolare della frana e la strada gli stava scappando via di sotto, doveva averle perse e non si era certo fermato a raccoglierle quando, appena ridotto lo sconquasso, aveva cominciato a risalire, più veloce di quanto le vecchie gambe gli avrebbero dovuto permettere, a cercare di salvare i suoi animali.
Mentre risaliva era stato sorpassato dalle camionette dei carabinieri che l’avevano bloccato sullo spiazzo del Belvedere dove poi avevano montato le tende. E gli avevano detto che anche ammesso che i suoi animali si fossero salvati – e lui ne era profondamente convinto – anche salendo non avrebbe potuto fare niente. Il cibo e i ripari erano sicuramente andati, loro se la sarebbero cavata meglio da soli, se se la fossero cavata. Ma era lui che non se la sarebbe cavata senza di loro o senza essere certo della loro sorte. Così aveva deciso di non accettare di scendere giù a dormire in albergo ed era rimasto con altri vecchi stupidi e testardi come lui ad aspettare sotto la tenda l’occasione per andarli a cercare.
La frana aveva cancellato la provinciale e il fianco da quella parte era troppo ripido per provare a passarci. L’unica strada che gli sembrava possibile era scavalcare dritto il fronte della frana sulla china di San Giovanni poi piegare a sinistra, magari un po’ in diagonale, e cercare di uscire dalla zona franata da quella parte. Da lì avrebbe visto come si metteva.
Scavalcare il fronte si stava rivelando più difficile del previsto oppure lui era più vecchio di quanto si fosse mai sentito o i due giorni al freddo lo avevano davvero indebolito; anche la mano ferita cominciava a fargli male davvero. Forse sarebbe stato meglio tornare indietro. Ma tornare indietro a che cosa? Perché?
Non era uno che si faceva tante domande, che ragionava troppo sulle cose, faceva il giusto, come gli avevano insegnato o forse come aveva imparato. Non aveva, per esempio, mai dubbi se la sua scelta fosse quella “giusta”, sapeva che era giusta. Punto.
Però non era mica stupido, cocciuto magari sì, non stupido. Si rendeva perfettamente conto che quello che stava facendo andava contro tutti i principi che aveva messo in pratica fino a quel momento: era pericoloso e inutile. Ma era giusto. La cosa giusta da fare. E non era neanche così stupido da non rendersi conto che stava succedendo qualcosa di nuovo nella sua testa: stava ragionando sulle sue scelte e i suoi perché. Era una sensazione nuova, non molto rassicurante perché presupponeva la possibilità di fare scelte sbagliate ma era eccitante, si sentiva girare un po’ la testa, come se avesse bevuto o battuto forte la testa, ma diverso, senza il sapore aspro del vino scadente del Tonio o il dolore sordo della botta.
Forse sto impazzendo, pensava e l’idea mica gli dispiaceva. Gli era tornato in mente che tutto era cominciato quando aveva pensato, ed era un rimpianto: Ah, se solo nella mia vita non fossi stato così prudente, così avaro… Adesso rigirava quel pensiero nella mente e non era più amaro. Lo lasciava filtrare avanti e indietro tra le frange dei ricordi come la sabbia del fiume quando aveva cercato, per qualche mese, pagliuzze d’oro che dicevano ci fossero in abbondanza. In quel pensiero c’era l’oro, mica tanto, solo qualche pagliuzza, e lui adesso voleva a tutti i costi trovarlo.
Aveva 22 forse 23 anni; gli piaceva la Gina ma lui era timido e lei bellissima, aveva promesso a sé stesso che se avesse trovato abbastanza pagliuzze si sarebbe fatto avanti. Ma la Gina aveva sposato fuori paese e chissà se era stata felice, se aveva avuto dei figli, dei nipoti. Lui no; né sposa, né figli, né nipoti. Anche sposarsi è pericoloso. E forse inutile.
Ma tra pagliuzze che stava cercando adesso non c’era una dichiarazione d’amore, che cosa fosse l’avrebbe riconosciuta quando l’avesse trovata.
Anche questa era una sensazione nuova: distratto dai suoi pensieri aveva continuato a muoversi, quasi automaticamente e adesso si ritrovava in cima al muro di sassi. Davanti a sé un vuoto di blocchi di terra, alberi spezzati e pietre di ogni forma ma più piccole. Il sole che quando aveva lasciato la tenda non si era ancora annunciato, illuminava tutto in giro del colore di latte, di ombra e di pioggia.
Il profilo delle cime che si indovinavano di tanto in tanto contro le nuvole, gli era familiare e rassicurante. E se c’era un senso da trovare alle cose, era più in alto. Aveva tirato il fiato abbastanza, riprese a salire a passi incerti tra le pietre sconnesse e la terra fangosa che voleva ad ogni appoggio inghiottirlo. Sentiva il sole salire più nella stanchezza delle gambe che nel colore di quel nulla. E arrivò a uscire dalla zona franata.
Non riconosceva il posto, forse non era mai passato da queste parti. Boschetti radi e spiazzi irregolari gli raccontavano che lì una volta qualcuno aveva coltivato; adesso era tutto abbandonato da anni, decenni, ma le ferite lasciate dal passaggio dell’uomo non erano ancora rimarginate. Anche dalla sua parte erano rimasti in pochi e i terreni coltivati una piccolissima frazione di quelli che li avevano sfamati bambini, ma camminando sui sentieri, e si incrociavano sempre sentieri abbastanza ben tenuti, ci si sentiva come in compagnia di qualcuno che su quella terra stava lottando per sopravvivere. Qui invece il rinnovato rigoglio della natura testimoniava l’abbandono del genere umano, la morte di una civiltà.
Adesso stava salendo lasciando a destra la zona di frana, pensava di poterci passare sopra attraversando il Colle di San Giovanni, da lì sarebbe andato verso Colle Caraio. Se i suoi animali si erano salvati stavano sicuramente da quelle parti. Il terreno adesso era più facile, solo un po’ scivoloso, improvvisamente sentiva di più la stanchezza. Decise di fermarsi a mangiare i panini che si era portato e a riposarsi un poco.
Mangiare sotto l’acqua non era proprio piacevole, una strana ansia lo stava stringendo, lasciò a metà il panino e decise di riprendere a salire subito. Arrivò ad affacciarsi al colle, davanti a lui tutto era uniformemente grigio. Sui pratoni del Caraio non si scorgeva traccia di vita, le case più giù erano affogate nel grigio. Avrebbe dovuto scendere da quella parte. Non sapeva se la frana avesse preso anche questo fianco né se dall’altra parte ci fossero posti di soccorso, probabilmente sì, ma non sapeva a che altezza della provinciale, non gli veniva in mente uno spazio abbastanza grande per ricoverare mezzi e persone, non prima di San Vito, che erano almeno sette chilometri in su.
Quello che stava facendo, quello che aveva fatto, era davvero stupido, pericoloso e inutile. Proprio per questo adesso sapeva che non doveva fare la cosa “giusta”, la cosa giusta era continuare a fare cose pericolose e inutili, cose stupide.
Riprese a salire, oltre la fine dei pratoni, sul sentiero segnato del CAI. Arrivò a un cartello che indicava il Rifugio Corradi a 2 ore. Non ci era mai salito; lo avevano costruito che lui era già grande, aveva vagamente seguito il dibattito con i valligiani che temevano che l’arrivo dei cittadini avrebbe portato tante grane e pochi soldi. A lui non interessava, non gli aveva portato né grane né, tantomeno, soldi e se ne era dimenticato.
Avere una meta gli fece recuperare energia, arrivò al rifugio con il cielo ormai quasi buio. Sembrava una casa della valle come tante, solo tenuta un po’ meglio. E sembrava chiuso. Fino a che intuì una luce filtrare da un’imposta. Bussò, bussò, gridò. Lo stava assalendo il panico di rimanere solo, chiuso fuori sotto la pioggia. Non sarebbe stata la prima volta ma dopo avere sentito vicino un porto sicuro…
La porta aprendosi rivelò le braci di un camino in una stanza che sentiva di caldo, la ragazza sulla soglia, almeno a lui sembrava una ragazza, aveva uno sguardo interrogativo ma non ostile. E non ebbe bisogno delle spiegazioni che lui non avrebbe saputo darle.
Lo fece entrare e lo portò davanti al camino che rapidamente riprese vigore; mentre lo faceva spogliare completamente recuperò da qualche parte asciugamani e una coperta. Si ritrovò seduto davanti al fuoco, avvolto nella coperta, quasi asciutto, con una tazza di minestra calda uscita chissà da dove mentre la ragazza, ma guardandola meglio non era poi così ragazza, gli strofinava i capelli, le spalle, le gambe. Si addormentò su una specie di divano portato davanti al camino, protetto dal mondo in una grotta di coperte. Non avevano detto ancora una parola.
La mattina dopo con una tazza di caffelatte, pane e marmellata fecero conoscenza. Lui non sapeva spiegare bene perché fosse lì, proprio per questo lei lo capiva benissimo. Si chiamava Rosa e non le dispiaceva avere compagnia per un po’, fin quando lui avesse voluto, magari poteva darle una mano a sistemare un paio di cosette: un generatore ballerino e qualche tegola da cambiare, quando avesse smesso di piovere. Dormì quasi tutto il giorno, tra due minestre, un po’ di formaggio e un tenue calore che gli stava passando dalle carni alle ossa, allo stomaco, fino dentro il petto.
La mattina dopo il rumore della pioggia era cessato, aprendo le imposte il mondo era azzurro e nebbioso, il sole si lasciava intravedere tra le nuvole chiare. Alla porta un bussare; aprì e tra le lacrime finalmente libere, si chinò ad abbracciare la Bigia e la Gaia, la Birba, un po’ più timida, era rimasta qualche passo indietro. Da qualche parte, ancora diffidenti, sapeva che c’erano le altre. Le sue capre, la sua famiglia, pensava di averle perse per sempre. Sentì alle sue spalle Rosa, venuta a farsi leccare le mani. Adesso sapeva dove avrebbe passato i suoi prossimi anni a fare cose forse pericolose e inutili, certamente stupide, tremendamente giuste.

Questo “La frana” è davvero notevole, unacomposizione letteraria di grande livello. L’ho letta con grande partecipazione
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Negli esigui spazi di pace, leggere i tuoi racconti amplifica le emozioni e dilata la percezione del tempo. Come essere lì. Come fare le cose inutili, stupide, profondamente giuste.
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