
Sono abbastanza grande per aver avuto la fortuna di vedere in televisione (canale unico in bianco e nero) tanto teatro. I miei genitori non ne perdevano, e non ce ne facevano perdere, uno. Ho conosciuto De Filippo, Govi, Baseggio e tutti i grandi; i primi li ricordo meglio perché, bambino, mi facevano ridere. Gli sceneggiati, mio padre non voleva vederli, i film, poco. Non ho mai capito perché.
A teatro i miei non andavano, tantomeno noi piccoli; costava troppo, era un divertimento da borghesi benestanti. Poi è arrivato il ’68, il teatro si è fatto popolare e mi ha aperto le sue porte; in televisione non mi piaceva più. Anche questo non capivo perché. Mi ci è voluto mezzo secolo per trovare una ipotesi di risposta, effetto COVID.
Chiuse le sale, il teatro è tornato a riproporsi sul video; ne ho visto una certa quantità, non sempre ne ho goduto. E non parlo della qualità del testo o dell’interpretazione, naturalmente. Parlo di tecnica.
Il primo teatro in televisione era rigorosamente in diretta, camera fissa sul centro del palcoscenico, poi, con le traduzioni televisione, le camere hanno cominciato a moltiplicarsi, muoversi, “scegliere”. Tra un primo piano e uno zoom, il regista televisivo ha cominciato a proporre una visione “indirizzata”, lo spettatore era guidato, non più libero. Era lo stesso spettacolo? Per gli attori forse sì, per lo spettatore sicuramente no! Migliore o peggiore? O solo un’altra forma di spettacolo? Possiamo aprire un dibattito.
Dalla fine degli anni 60, inoltre, alcuni programmi televisivi, quasi tutti i teatrali, hanno cominciato a essere registrati e trasmessi in differita. O trasmessi in diretta e ritrasmessi, magari anni dopo, in differita. Era lo stesso spettacolo? Credevo di sì. Fino ad oggi. Adesso so che la differenza è nello spettatore che lo sa.
Sa che se lo spettacolo è in diretta, l’attore che agisce non sa, come lui, che cosa succederà un attimo dopo. Certo conosce la battuta, l’ha ripetuta mille volte nelle prove e nelle repliche precedenti, ma questa sera è lì davanti a spettatori che, magari a migliaia di chilometri di distanza, sono testimoni di questo unicum, un momento diverso da ogni altro e irripetibile.
In differita lo spettatore sa che tutto è già avvenuto e nulla lo potrà cambiare. E’ lo stesso spettacolo? I pixel che si eccitano sul mio schermo sono gli stessi, nella stessa medesima sequenza. I neuroni che si eccitano nel mio cervello, no.
Ma anche su questo possiamo aprire un dibattito.
Questo articolo è stato pubblicato online su Koreja Magazine https://www.teatrokoreja.it/magazine/ il 12 gennaio 2021.