Non credete che sia rappresentativo della mia personalità?

Sentite un po’: ho letto su internet che in un corpo umano di 70 chili ci sono circa 7 miliardi di miliardi di miliardi di atomi, 7 seguito da 27 zero o per i più scientifici 7×1027. A me che sono un po’ più cicciotto basta mettere un 8 al posto del 7 per ricadere sui miei piedi (retomber sur mes pattes e l’uso di questo francesismo ha qualcosa a che vedere con tutto ciò). Di questi circa il 10 percento sono atomi di carbonio ed è di questi che vi vorrei parlare.

Perché proprio di quelli di carbonio? Beh, avete presente i diamanti? Non credete che sia rappresentativo della mia personalità? Ma dai, scherzo!

Perché il grosso del resto sono idrogeno e ossigeno in proporzione 2 a 1, acqua insomma. E di acqua nel mondo ce n’è tanta, troppo per quello che mi serve. I miei atomi di idrogeno e di ossigeno potrebbero prendersi troppo sul serio o, al contrario andare in depressione sentendosi persi di fronte all’immensità dell’oceano, degli oceani.

Io ne so poco di chimica e di fisiologia, niente di biologia molecolare. Non so nemmeno se la competenza in queste degnissime specializzazioni mi servirebbe per affrontare meglio la questione, comunque ci farò con (j’y ferai avec come sopra).

La questione è questa: nella mia vita adulta dovrei aver mangiato qualcosa come 2-300 chili di cibi all’anno (non vi sto a fare il conto che ho fatto, può sembrarvi tanto o poco, posso aver sbagliato anche di molto ma comunque non cambia il fondo della questione, è il concetto che conta, come ben sanno gli analfabeti funzionali. Non che io mi consideri tale, ma in questo frangente non sposterebbe comunque il problema). Vi dicevo che tonnellata più, tonnellata meno dovrei aver ingurgitato una tredicina di tonnellate di cibo e facendo che il cibo contenga (facendo la media tra l’anguria e le uova) all’incirca la stessa quantità e la stessa percentuale atomi di carbonio che noi, farebbe 13*1028 atomi di carbonio.

Adesso mi lancio in una ipotesi assolutamente priva di supporto scientifico (ma tanto è il concetto che conta), diciamo che di tutti gli atomi di carbonio che mi sono infilato in bocca solo la metà si sia combinato in modo variabile con altri elementi (i soliti idrogeno, ossigeno e qualche traccia di altre robette) fino a comporre una qualche molecola interessante per una cellula di passaggio che ha visto bene di fagocitarla in un processo non troppo affascinate ma assolutamente vivifico.

Che è stato dell’altra metà, o quello che sia? Va be’, sono passati senza lasciare traccia ed escono dalla storia per l’uscita di servizio.

Ma torniamo ai nostri montoni (revenons à nos moutons , ancora): sempre tenendo i conti fin qui fatti per buoni, visto che il mio peso e di conseguenza il numero di atomi di carbonio che sono in me, in questo lasso di tempo -sto sempre contando solo la mia vita adulta- non è variato di molto, vuol dire che il numero di atomi di carbonio che sono stati me, che sono stati parte integrante di me, è di circa 700 volte quelli che sono in me adesso. Gli atomi di carbonio di 700 Guido se ne sono andati a spasso per il mondo.

Quindi possiamo finalmente porre la questione anticipata: dove diamine se ne sono andati? Che fine hanno fatto?

Non che io sia un tipo possessivo ma insomma, sapere che pezzi di me, anche se sono stati me solo per un breve frammento di esistenza, se ne vanno in giro da soli, un po’ mi turba.

Ma sono certo che, che se ne siano volati in cielo soffiati nel fiato in forma di anidride carbonica o caduti in terra lasciandomi calvo o nelle cellule epiteliali esauste o in una delle altre diversissime forme con le quali diffondiamo il nostro DNA sulla terra, alla fine là sono tornati, da dove erano venuti, dall’universo.

E qui, ricomposti attraverso milioni di quei meravigliosi processi di cui poco o tanto sappiamo ma che siamo bravissimi a distruggere e disturbare, sopravvivono; oggi magari in un fiore di callistemon, una melanzana, un acino d’uva, un maialino da latte.

Un momento!

Lasciando per un attimo da parte l’idea che un pezzo di me possa passeggiare nel buio di qualche tombino fognario sotto forma di topastro o peggio di scarafaggio, resta la possibilità … di essermi mangiato! In forma molto probabilmente vegetale però, visto che sono tendenzialmente vegano, comunque non certo come maialino da latte! Resta la possibilità di aver praticato una perversa forma di cannibalismo atomico! E’ vero che in fondo si tratterebbe di un ritrovo, una parte di me che torna a casa, come una riunione di famiglia per le feste, ma pur sempre cannibalismo.

Sì ma … se avessi staccato l’acino sbagliato? Se quello dove c’era il mio atomo fosse capitato a mia moglie? Chi glielo dice adesso a Donatella che si è mangiata un po’ di me? Che sta forse per diventare un po’ di me? E se invece fossi capitato in bocca, poi nello stomaco, nell’intestino, nel sangue di qualcuno che mi sta sulle balle? Prospettiva drammatica! Se però fossi capitato nel cervello di Salvini gli avrei potuto fare solo del bene! O no? Se fosse il contrario? Se proprio fosse stato il mio atomo a mettersi di traverso in un qualche processo cognitivo per farlo diventare la bestia che è? Sarebbe una responsabilità enorme!

E perché dovrei limitarmi a questa visione guidocentrica? Quello che capita ai miei atomi, fondamentalmente capita agli atomi di tutti. Mi rifiuto di pensare di avere in me un atomo che fu di Salvini, in fondo lui si rifiuta di pensare ad un Natale lontano dai suoi, ma potrei avere un atomo di Donatella. Come se non stessimo già abbastanza vicini tutti i giorni. Potremmo sperimentare una bella microlitigata nel ring del fegato o qualche attimo di tenerezza sulla punta delle dita o direttamente nel teatro del ventricolo destro.

Non so da dove mi vengano questi pensieri, forse mi sono mangiato un atomo di Proust.

un atomo di Proust