
E’ nel tardo pomeriggio di un giorno di ottobre inoltrato che mi rendo conto che in cielo si vede già la luna. E’ un pomeriggio ancora tiepido, come se l’estate non fosse già finita; domenica si faceva ancora il bagno nelle calette riparate di entrambi i litorali. Non io, io non sono tipo da fare il bagno in ottobre, anche se la temperatura lo permette, lo permetterebbe, io non ci tengo a rischiare. Per cosa poi, per mettere le foto su Facebook? Per dimostrare cosa, che sono ancora un ragazzo?
E’ anche per questo che la luna mi ha attirato; comincia già a far buio a quest’ora, qui all’estremità orientale dei confini del fuso orario e la luna disegna nettamente nel cielo uno spicchio che per qualche ragione mi ricorda l’estate. E la copertina di un libro per bambini, un libro di favole.
Non ho mai imparato a distinguere la luna crescente dalla luna calante, cerco sempre di ragionarci sopra ma mi rendo conto che qualche elemento di base mi sfugge, comunque non ha molta importanza, facciamo che sia luna crescente, è decisamente più romantico. E la luna, per quanto vecchia che sia, continua a spuntare con immutato entusiasmo e a crescere impettita, a ripetere instancabile il ciclo che la porterà a spegnersi prima di riapparire di nuovo.
Questa luna in anticipo in questo autunno in ritardo, nel semibuio tiepido ancora profumato di fiori, mi rende malinconico.
Quante lune crescenti avrò mai visto nella mia vita? Quante volte avrei potuto approfittarne per imparare come si distingue dalla luna calante? Quante lune saranno cresciute, contando anche quando ero troppo piccolo per sapere che la luna, come ogni altra cosa, esisteva oltre il calore e le voci dei miei genitori? Devo assolutamente fare il conto!
Dunque: ci sono 13 lune crescenti in un anno, quindi in trentotto anni (38 per 10 fa 380 più 30 per 3, 90 fa 470 più 3 per 8, 24) 494 più cinque mesi e qualche giorno fa 500 lune tonde tonde. Veramente, visto che conto le crescenti, sarebbero spicchie spicchie e siccome l’aggettivo spicchie non c’era, l’ho dovuto inventare. Poi, per essere precisi, bisognerebbe sapere com’era esattamente la luna quando sono nato, se davvero non contano gli anni bisestili e come incidono i qualche giorno dopo i cinque mesi. Comunque direi che posso considerare buono il conto di cinquecento lune. Il che mi fa sentire improvvisamente vecchio!
E qui mi sorgono spontanee altre domande: quante me ne mancano? Arriverò a mille e oltre od ho già oltrepassato senza accorgemene il mezzo del cammin di mia vita? C’è forse qualcuno che è arrivato a mille e cinquecento? Adesso però non ho voglia di fare il conto, neanche per sapere se scommettendo sull’allungamento della vita media e il lievitare della soglia della speranza di vita, potrei metterlo tra i miei obiettivi a lungo termine. O meglio di no.
Questo è esattamente il tipo di ragionamenti che fa imbestialire Carla, le rare volte che cerco di condividerli con lei. Lei che è ancora così lontana da questo stupido, immateriale, misconosciuto traguardo.
E adesso è anche lontana da me. Compirà lontana da me le sue cinquecento lune? Magari la posso chiamare oggi per chiederle di vederci a cena per festeggiare le mie di cinquecento lune?
Non capirebbe, sono certo che non capirebbe e si arrabbierebbe ancora di più; meglio tenere un basso profilo. Ho già visto quanto sia pericoloso un incongruo tentativo di umorismo in atmosfera sovraccarica.
Come l’ultima volta.
“Sai che fine ha fatto questo barattolino?” Carla teneva in mano un coperchietto di plastica azzurra e mi guardava con la solita aria a metà tra l’accusatrice e lo sconfitto. Dopo tanto tempo che aveva cercato di educarmi a tenere le cose in ordine, ancora una volta l’avevo delusa.
Qualunque risposta le avessi dato avrebbe peggiorato la situazione, figurati non risponderle affatto! Ero già contento di aver capito che la sua domanda valeva “Sai che fine ha fatto il barattolino che aveva questo coperchio?” evitando l’esplosiva reazione ad un “quale barattolino?” accompagnato da un’aria finto ingenua. Ma dovevo sbrigarmi a formularne una adeguata e rasserenante.
Non potevo dire “sarà stato buttato via per sbaglio”, l’avrebbe presa come un’accusa diretta, né “l’avrà buttato la donna” mi avrebbe accusato di sottrarmi, come sempre, alle mie responsabilità. Se l’atmosfera fosse stata diversa incolpare Musetta, la nostra gatta, sarebbe stato ideale. Era uno scherzo tra di noi, quando ancora scherzavamo spesso; la colpa di tutto è sempre di Musetta, proprio per interrompere lo stupido inseguirsi sulla strada della ricerca delle responsabilità.
Ma queste riflessioni mi hanno preso del tempo e il tempo stava per finire. Ho estratto la mia migliore espressione di tenerezza, il mio sorriso più seduttivo, quello da “Ti chiedo scusa. Anche se non so bene perché, ti chiedo scusa” e ci ho provato. L’ho buttata lì: “Sarà stata Musetta!”
Troppo per lei. “Se sei troppo … Se davvero credi… Se per una volta non riesci neanche a darmi una risposta seria, forse è ora che vada a cercarmele altrove”.
Ha preso la giacca e se ne è uscita. Se ne è uscita lasciando le chiavi sul mobiletto ingresso. Avrei voluto credere che se ne fosse dimenticata ma Carla non sbaglia mai un segnale. Per un po’ non l’avrei vista, né sentita.
Solo che il po’ è diventato tanto; è stato circa due lune fa.
Non è che sia stato per il barattolino, naturalmente. E’ che lei mi trova un po’ noioso, pedante, svagato, pigro e molte altre cose ancora, tutte negative. Non era così all’inizio, non ci ha messo neanche tre mesi per decidersi a trasferirsi da me (tenendo ad ogni buon conto il suo appartamento) e comunque l’ha deciso lei. Fosse stato per me magari avremmo potuto aspettare ancora un po’. O ancora un po’ tanto. Non stavamo bene insieme vedendoci tutti i week end, quasi tutte le sere, ogni tanto dormiva da me, e telefonandoci quattro o cinque volte al giorno? Avremmo dovuto aspettare almeno di passare una vacanza insieme, almeno quindici giorni di vicinanza continua, per verificare, pensavo.
Ma lei diceva che la facevo ridere e che questo le bastava ed io ero troppo pigro, forse, troppo lusingato, sicuramente, troppo innamorato, credevo, per oppormi. Era, lo è ancora in verità, così giovane, così bella, così viva, così allegra, così libera e molte altre cose ancora, tutte positive.
Poi lune sono cresciute tra il rarefarsi delle risate e l’allungarsi dei silenzi.
Ci mancava il virus; costretti in casa a scontrarci di continuo sulle nostre differenze, abbiamo finito per affogare. Ognuno di noi è affogato nella propria paura, solo.
Il barattolino l’ho poi trovato nell’angolo in fondo del ripiano del pensile alto ma Carla non lo sa. Lo sa la luna, adesso, ma non sembra avermi perdonato.

Un’altra lettura coccola e golosa, come un pasticcino mignon, di quelli buonissimi, che bisogna mangiare a bocconi minuscoli perché sennò finisce troppo subito.
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Ha ragione la signora Giovanna Flaminia, un boccone goloso che finisce troppo presto.
Mi piacerebbe che la storia continuasse….
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La luna in barattolo è un satellite sottovuoto, la compri al supermercato.
La trovi vicino alle olive Kalamata, per assonanza.
Etichetta blu.
Tappo azzurrino.
Non ha la data di scadenza.
Ma un calendarietto che ti dice quando mangiarla.
Perché se è piena sei sicuro che ti sazia.
Ma se è nuova resti a bocca asciutta.
Se è a spicchi sottili sta bene nel gin tonic.
Con la raccolta punti, bastano10 prove d’acquisto ti regalano la compilation dell’estate.
Luna
Man on the moon
Non voglio mica la luna
E la luna bussò
Moon river
…
Regalala a Carla, vedrai che torna.
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