
Era una notte buia e tempestosa, il vecchio sedeva curvo sulla sedia, immobile. I gomiti ossuti poggiati sulle ginocchia scarne, le mani intrecciate a sorreggere il mento illuminato dalla barba bianca di qualche giorno. Aveva gli occhi chiari, d’un azzurro acquoso slavato dagli anni, lo sguardo puntato nel vuoto di fronte a sé, mescolando nella testa nuove e vecchie domande.
La vecchia casa era ben solida, aveva retto a cento tempeste ma quella sera sembrava tremare di paura, scossa dalle raffiche di acqua e vento, risonante come un tamburo nell’orchestra di sole percussioni dei tuoni, tagliata dai lampi di luce dei fulmini che ne annunciavano gli schianti sempre troppo vicini.
Il vecchio sembrava altrove o in un altro momento. Forse non sapeva neanche di avere come unica compagnia la vecchia casa tremante di paura. E le domande.
Non era stato sempre così: in altri momenti, e anche altrove, il vecchio, che vecchio ancora non era, aveva potuto spartire con altri i suoni, le luci e le paure e le domande trasportate dalla tempesta. Prima la sua famiglia, la prima, in quella stessa casa, dove era nato. Poi gli amici delle estati spensierate, commilitoni e compagni nella rabbia di una guerra trascinata troppo oltre, sua moglie, regalo di una primavera ritrovata, gli uomini arenatisi con lui nelle baracche di Kariba e i figli.
Figli che troppo presto se ne erano andati, chi a cercare fortuna in un altro altrove, chi solo per cercare altro altrove, chi perché aveva già trovato il suo ultimo momento qui o altrove.
Perché? Perché quasi tutti quelli che avevano vissuto insieme a lui momenti di tempesta, avevano già vissuto i loro ultimi? Qualcuno di tempeste ne aveva passate poche, altri tantissime ma tutti loro erano giunti, come si usa dire, alla pace eterna.
Che chissà poi se era davvero pace, se era qualcosa di diverso da nulla o l’insieme dei rimorsi e dei rimpianti. Il vecchio non era certo tipo da speculazioni metafisiche anche perché non sapeva che le domande che sempre si poneva, pensando ai tanti, tali fossero. Questa sera tutte le domande, nuove e vecchie, gli tenevano compagnia: dove vanno a nascondersi i fulmini? Quanto costa la libertà e tu quanto sei disposto a pagarla? Perché Dio non si mostra? Perché tu? Perché?
Gli sembrava che un po’, un pezzettino, della tempesta fosse filtrato attraverso lo sguardo puntato nel vuoto di fronte a sé, dentro. Fin dentro il cervello.
Erano rimasti lui, la casa, la tempesta fuori e le domande sempre scomode dentro. E se una domanda non può avere risposta, rimane comunque una domanda?
Quando il vecchio si alzò non sembrava nemmeno così vecchio; andò a cercare il vecchio zaino che lo aveva accompagnato da una tempesta all’altra, in altri momenti e altrove. Si stupì di quante poche cose gli sembrava necessario infilarci dentro ma in fondo si era sempre accontentato di poco. Quindi ancor di più si stupì di quanto in quel momento le risposte gli mancassero, ma non ce le aveva da infilare nello zaino.
Le finestre erano già tutte accuratamente chiuse per la tempesta che si stava ormai allontanando. Con lo zaino su una sola spalla, chiuse anche la porta e uscì in cerca di risposte.
Il cielo era inaspettatamente azzurro, di un azzurro piatto, finto. Seduto sul tetto della sua cuccia, davanti alla macchina da scrivere, Snoopy batteva velocemente: “Era-una-not-te-buia-e-tempe-sto-sa”. Il vecchio capì che non era quella la sua storia, che non avrebbe trovato lì le risposte e che comunque sarebbe stato inutile cercarle.
Perché “Quando pensi di avere tutte le risposte, la vita ti cambia le domande (Charlie Brown)”

Un piccolo delizioso enigmatico racconto, che chissà da dove viene e chissà dove va… ogni lettore può deciderne antefatto e seguito…
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