Questo racconto é stato pubblicato nel volume “25 Autori raccontano” Edizioni Greco&Greco – Milano,
nel Novembre 2011

lindo come quello di un ospedale
Non ho paura.
Ho fatto l’inventario delle mie emozioni, come quando dopo un incidente o una brutta caduta ci si tasta per vedere se c’è niente di rotto. L’ho cercata e non l’ho trovata. Non la paura.
Eppure so che dovrei averne. Non sapendo dove sono né come ci sono arrivato.
E’ un corridoio luminoso, lindo come quello di un ospedale particolarmente ben tenuto, una clinica di gran lusso. Sono seduto su una sedia, comoda. La luce è chiara, violenta eppure non mi dà l’impressione di gelo delle luci al neon. Il posto stesso sembra fatto di luce.
Ci sono muri, soffitto e pavimento, porte (?). So che ci sono porte anche se non riesco a vederne gli stipiti. D’altronde neanche delle pareti riesco a capire i confini. Né di che materiale sia fatta la sedia.
Ma continuo a starmene qui seduto tranquillo, cercando di trovare un punto fermo.
E’ una sensazione che conosco bene, in fondo. Ho viaggiato molto, per lavoro. Spesso – troppo spesso per la verità, soprattutto dopo i quaranta – mi è capitato di svegliarmi in piena notte in un letto sconosciuto senza sapere dove e perché.
Utilizzerò la mia tecnica sperimentata di posizionamento. Primo: rendersi conto che è una stanza d’albergo. Secondo: recuperare l’ultimo ricordo della sera prima. Terzo: identificare la città e, cosa più importante, capire perché ci si è. A questo punto si può riprendere sonno o prepararsi ad affrontare il giorno che viene.
Dunque, primo: continuo a non sapere dove sono. Secondo: l’ultimo mio ricordo è…. Ieri sera sono andato a dormire nel mio letto. Non mi ricordo di essermi svegliato. E così mi sono perso, senza nemmeno arrivare al terzo.
E intanto mi controllo: sono sempre sorprendentemente calmo, meglio così.
Ascolto. Cerco almeno di aiutarmi con l’udito. Non sento rumori. Non sento neppure il silenzio. Il vuoto di rumori mi ha sempre fatto paura. Sono uno di quegli animali urbani che in campagna non riescono a prendere sonno. Qui è diverso, sento che c’è vita, movimento, eppure non riesco a isolare un solo suono.
Visto che ho cominciato, vado avanti con gli altri sensi. La cosa comincia quasi a divertirmi, mi sembra di star facendo la Settimana Enigmistica.
Gli odori. Come cominciavo a sospettare non sento odori, anche se giurerei che c’è una specie di profumo, leggero, gradevole. Non sento nemmeno il mio, di odore.
E se mi tocco, se tocco la sedia, ne sento l’esistenza senza poterne dire altro. Caldo o freddo, liscio o ruvido mi sono indistinguibili.
Non vi ho ancora detto che ogni tanto passa qualcuno, anzi in verità direi che c’è un certo traffico. E’ per questo che cerco di non farmi vedere mentre mi metto un dito in bocca. Giusto per la conferma che anche il gusto non mi aiuta, salvo per farmi sentire intelligente. Il che per uno della mia età che si sta succhiando un dito, non è male.
Visto che non ho nessuna voglia di provare ad alzarmi – per fare cosa poi? – e che sento che devo continuare a far funzionare il cervello se voglio mantenere il controllo, comincio a guardare la gente che passa. Magro risultato.
Passano, con l’aria di saper bene dove andare, soli o a coppie. Gente normale, gente di ogni tipo, di ogni età. O forse senza tipo e senza età. Però almeno ho visto che sono l’unico seduto qui. E se mi sembra anche che qualcuno di quelli che passano eviti di guardarmi, come a disagio, senza riuscire a mascherare una certa sorpresa, posso imputarlo alla mia consapevolezza di essere un caso almeno raro. O è un primo sintomo di paranoia?
Perché, per il resto tutto procede bene. Calmo come un papa. Che d’altronde non si capisce perché dovrebbe essere particolarmente calmo, il papa. Ma forse non si dice nemmeno “calmo come un papa”. Non mi ricordo.

Viene verso di me. E’ bellissima. Zigomi alti, lineamenti decisi, magra senza essere secca. Meryl Streep in bello. E’ proprio il mio tipo ideale. E viene verso me.
Certo che la seguo. A parte che non so che cosa potrei fare di diverso e che sono curioso di capirci qualche cosa, una così la seguirei in capo al mondo. Che sorriso! E che voce! Angelici. Anche se non sono proprio certo di averla davvero sentita, la voce.
La seguo dentro una specie di ufficio. Dietro la scrivania c’è un ometto, aria da burocrate ma non scostante. Il mio sogno se ne va, peccato. Doveva avere anche delle bellissime gambe. Mi rendo conto di non averle viste. Mi rendo anche conto che sul pavimento c’è come una fitta nebbia. Anzi è come se il pavimento stesso fosse di nebbia e che ci si camminasse in mezzo. Ma era già così da prima?
Scaccio il dubbio giusto in tempo per vederla sparire dietro la porta. E’ molto maleducato, ma non sono riuscito a trattenermi dal seguirla con lo sguardo. L’ometto non sembra aver notato o almeno non lo lascia capire.
Si scusa – Sa sono cose che succedono, anche se solo raramente – Loro fanno tutti gli sforzi per evitare ogni genere di errori, soprattutto quelli che possono ledere in modo determinante i diritti di una persona.
Non ho ancora capito di che diamine stia parlando, ha l’aria imbarazzata, spero che arrivi presto al dunque. In ogni caso ho capito che qualcuno – loro, anche se non so chi sono “loro” – ha fatto una cazzata e qualcun altro – io – ne pagherà le conseguenze. Comincio ad innervosirmi.
Mi hanno prelevato dal mio corpo per errore, prima del tempo. – Lei mi sta dicendo che sono morto? E per di più per sbaglio, un “vostro” sbaglio? –
Non esattamente, non sono ancora morto. Non sono più nel mio corpo, ma proprio perché c’è stato un errore il processo non è stato compiuto. Non ancora.
– Come, non ancora? Voi adesso mi mandate giù, o su, o dove diamine avete lasciato il mio corpo e sistemate tutto, come prima –
Sembra che qui sia il problema. Lui ha il compito di risolverlo, lui, evidentemente, è qui per aiutarmi. Incomincia a starmi francamente antipatico. Ho la netta sensazione che tiri a fregarmi.

L’operazione è molto complessa. Mi spiega di tempi, di procedure, di ricordi, di danni, di trasporto, di rischi, di vantaggi.
– No, dico, vantaggi per chi? A me non mi frega niente di tutte queste palle, voglio solo tornare, e in fretta – Chissà perché quando mi innervosisco il mio linguaggio peggiora repentinamente. E’ vero che non è il caso di preoccuparsi degli aspetti semantici in frangenti come questo, ma c’è un limite a tutto.
Comunque sembra che quello che io posso o meno volere non abbia la minima importanza. E’ lui che deciderà se invertire o compiere il processo, secondo i suoi personali criteri di opportunità e di giustizia. Di colpo è diventato gelido. Anch’io sono raggelato, un brivido lungo la spina dorsale mi ha di colpo bloccato.
Posso, se voglio, ma lo dice con l’aria di chi ne farebbe volentieri a meno, aiutarlo a decidere portandogli degli elementi di cui lui non fosse eventualmente a conoscenza.
E’ evidente che non ci crede proprio che io ne abbia di questi elementi. E’ uno di quegli stronzi che pensano sempre di avere la verità e che appena hanno un briciolo di potere godono ad esercitarlo.
Solo che questo qui ha il potere di uccidermi.
Lui direbbe che non è vero, che lui può solo decidere di arrestare il mio processo di morte. Nazista! E poi sento che ha già deciso e io non voglio sentirmelo dire.
Devo pensare qualcosa e intanto prendere tempo. La mia tranquillità se ne è definitivamente andata. Cerco di respirare con calma, profondamente.
Gli chiedo di darmi cortesemente una traccia, di farmi capire quali siano, a grandi linee, i suoi principi di opportunità e giustizia, di aiutarmi ad aiutarlo. Di solito con questi tipi funziona sempre far loro sapere che possono aiutarti, li fa sentire superiori, che è quello che vogliono.
Quindi attacca a parlare. Cerco di seguirlo con metà della testa mentre con l’altra metà cerco di elaborare un’idea. Se non capisco male, e riassumendo al massimo, lui potrebbe decidere di salvarmi se io, per esempio, avessi dieci figli, una moglie invalida e qualche altro parente a carico che senza di me morirebbero. Oppure se fossi sul punto di perfezionare la scoperta di un antitumorale che potrebbe salvare un paio di milioni di vite umane nei prossimi due mesi. O avessi in ballo qualche altra cosa di parimenti importante per il futuro dell’umanità.
– Devo finire di scrivere il mio primo racconto – Si blocca netto, credo che pensi che lo sto prendendo in giro, e non ha l’aria di uno che gradisce.
– Parla anche di Lei – Faccio la vocina un po’ indecisa e timorosa. Non mi riesce difficile. Ho una fifa blu.
Non riesco a interpretare il suo sguardo. Rimane scuro ma mi sembra meno ostile. Non ho niente da perdere immaginando di vedervi apparire il luccichio di un futuro sorriso. Tende la mano. Lascio andare, mentalmente, uno sbuffo d’aria. Sento che è fatta! Appena leggerà il mio incipit l’avrò conquistato. Con tutto il tempo che ci ho lavorato sopra, almeno sarà servito a qualcosa.
P.S. Sono tornato.

Questo racconto é stato pubblicato nel volume “25 Autori raccontano” Edizioni Greco&Greco – Milano,
nel Novembre 2011
un delizioso racconto perfettamente calibrato dove l’Autore inietta la propria realtà nell’irrealtà circostante ottenendo una miscela degna della migliore fantascienza.
"Mi piace""Mi piace"