Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Persone & Conoscenze n. 58. Maggio 2010

Esistono caratteristiche comuni alle poche aziende che sopravvivono al passaggio generazionale? Se sì, è possibile indurne un processo di rinforzo? Queste ipotetiche caratteristiche hanno influenza anche in aziende con origine e storie diverse? Il racconto della avventura di un manager milanese nel miracolo del Nord-Est. Una ricerca di antropologia culturale tra i riti e i miti di conquistatori e coltivatori. Dove ogni azienda è l’Isola del tesoro senza la mappa del Capitano Flint. Con una ipotesi, qualche domanda e nessuna risposta.

la diversità non si trasmette per via genetica

vuole lasciare dietro di sé un mondo migliore di quello che ha ereditato

Abbiamo per anni celebrato il mito dell’imprenditore italiano, quello forte, coraggioso, creativo, forse un po’ incosciente; quello che affronta la temibile sfida dei mercati armato della sua voglia di fare, di fare bene, e della sua incrollabile fiducia nelle proprie capacità, insomma della sua “diversità”.

L’intraprendenza supplisce alla imprenditorialità e l’impresa nasce e si sviluppa spesso tra gli stretti confini delle azioni (le avventure?)  con ritmo quasi quotidiano intraprese dal nostro eroe; l’occhio attento ad ogni minimo particolare, cento mani per aggiustare ogni dettaglio, la testa pronta a decisioni tanto rapide quanto poco giustificabili e, forse proprio per questo, così spesso tanto sorprendentemente azzeccate da sembrare illuminate.

Ma la crescita a volte sfugge al controllo; nel senso che, per eccesso di fiducia o per disattenzione, l’impresa da qualche parte sfugge alle facoltà di controllo, di intervento e di decisione del suo ispiratore oppure queste, come natura impone, si spengono.

Ma poiché la “diversità” non si trasmette quasi mai per via genetica mentre purtroppo è ancora molto lontana dal sentire sociale comune la separazione tra proprietà e gestione delle aziende e la certezza dell’immortalità è tra le più comuni sindromi degenerative di queste personalità, abbiamo accettato, quasi fosse un evento naturale, ineluttabile come un terremoto, che buona parte delle imprese italiane non durassero lo spazio di due generazioni, molte invero non giungessero neppure al primo passaggio di testimone.

I NUOVI CONQUISTATORI

Abbiamo tentato molte strade per aiutarle e sostenerle, ma visto che il panorama non ha globalmente dato segni di evoluzione significativa, evidentemente non abbiamo ancora trovata la ricetta adeguata; alcune di queste, in compenso, hanno spesso accelerato il processo degenerativo, penso per esempio all’impatto di strumenti finanziari di supporto alla crescita su realtà fragili sotto il profilo gestionale.

Altre hanno addirittura condotto a guasti insanabili; penso in particolare all’intervento di quei consulenti, peraltro eccellenti professionisti, animati dall’insano proposito di incanalare  la forza delle esplosioni di questa vulcanica diversità nei ristretti alvei di metodi prefabbricati di pianificazione strategica, di programmazione a corto, medio e lungo termine, di modellizzazione dello sviluppo e via formulando.

Ma resta il fatto che, forse realizzando i loro sogni di bambini, questi “diversi” eccellenti, come nuovi conquistatori, hanno saputo aprirsi faticosamente un varco nella giungla della concorrenza e del mercato. Essere conquistatori è il loro modo naturale di essere, buttarsi a capofitto in ogni possibile avventura trascinando dietro di sè il progresso, il loro unico modo di dare un senso alle loro azioni. Insofferenti dei ritmi della riflessione, vivono nell’istante della azione, sono gli uomini del fare, si esprimono al loro massimo nella soluzione delle emergenze che hanno loro stessi provocato.

Ma per molti di loro, come per molti conquistatori, la giungla si è presto richiusa dietro il loro passaggio.

Per molti, non per tutti.

UN PONTE SULL’ABISSO

un ponte oltre l’abisso del trapasso generazionale

Fortuna? Destino? O si può intervenire per trasformare queste rimarchevoli eccezioni in minoranze via via meno esigue, magari consistenti, addirittura in casi normali?

Per cercare di trovare una risposta dobbiamo quindi occuparci di quelle realtà che hanno saputo consolidare il loro successo gettando un ponte oltre l’abisso del trapasso generazionale pur facendo parte di quella maggioranza non particolarmente favorita (?) dalla roulette genetica; che non abbiano quindi solo perpetuato un modello di funzionamento che le statistiche dicono destinato inevitabilmente a soccombere.

Potremmo cercare di capire di che materiale fosse fatto quel ponte, chi e come lo abbia costruito e se le condizioni che hanno reso possibile l’impresa siano riproducibili o almeno facilitabili.

Premesso che nessuno crede di detenere una verità assoluta, o una risposta valida in assoluto, l’esperienza maturata in tanti anni di immersione in queste realtà ci permettono di suggerire una ipotesi a nostro avviso abbastanza credibile.

E se fosse che quell’intraprendente conquistatore, per caso, per fortuna o magari per illuminata visione del futuro (evitando il termine preveggenza solo per non incorrere in ulteriori malintesi), si fosse ritrovato nello squinternato e spesso sparuto drappello di iniziali seguaci, qualche bravo coltivatore?

LE FRUSTRAZIONI DEL COLTIVATORE

Il coltivatore è una persona speciale, ha il gusto dell’ordine e del giusto, si sente sempre responsabile del risultato del proprio operato ed è consapevole di essere un piccolo ingranaggio fondamentale nel cammino del progresso.

Il coltivatore forse non sa, né lo interessa, che non sarà mai al centro della attenzione, non sarà mai ricordato, citato, preso ad esempio. Il coltivatore sa l’unica cosa che veramente lo interessa: vuole lasciare dietro di sé un mondo migliore di quello che ha ereditato.

E non dobbiamo dimenticare che spesso, troppo spesso, conquistatori e coltivatori non riescono a comunicare: troppo antitetiche sono le loro personalità. Potremmo dire che se il conquistatore è per la massimizzazione della crescita e del profitto nel breve periodo, il coltivatore è per la conservazione del valore e lo sviluppo sostenibile.

Il conquistatore non conosce (e non riconosce) il valore del coltivatore; il coltivatore forse non sa di essere un valore.

Il coltivatore è quasi sempre frustrato dalla constatazione che le proprie fatiche profuse per cercare di proteggere il futuro di tutti non sono capite, spesso fraintese, derise dalla maggioranza che segue passivamente, magari lamentandosi della fatica, trascinando i piedi e lamentandosi nell’ombra.

Questa frustrazione, il senso di isolamento che lo circonda, porta la maggioranza dei coltivatori a credere di essere in errore, a considerare la propria visione come una patologia, a vivere come una colpa il fatto di non riuscire, nonostante tutti gli sforzi intellettuali dei quali è capace, a sposare quel vivere tutto “qui e oggi” tipico del conquistatore o il rassegnato adeguarsi dei suoi seguaci.

E a mollare.

CACCIA AL TESORO

Dove però ci sono coltivatori che riescono a non mollare e conquistatori che accettano di lasciare loro un po’ di terreno da coltivare a modo loro e un po’ di tempo “libero” per ottenere i loro frutti, ebbene lì sbocciano quelle realtà eccezionali capaci di durare nel tempo.

L’ipotesi che emerge dalle nostre osservazioni è quindi che proprio la presenza di abili coltivatori e di condizioni “sociali” a loro idonee sia il tesoro nascosto di quelle aziende che emergono come iceberg scintillanti al sole del successo dal tempestoso mare dell’evoluzione naturale. Condizione forse non sufficiente ma sicuramente necessaria soprattutto nel periodo avventuroso che contraddistingue lo sviluppo iniziale delle tante imprese che rientrano nello schema che abbiamo fin qui disegnato.

Se davvero questo è un tesoro nascosto, che cosa potremmo fare per aiutare qualche azienda in più a trovarlo, riconoscerlo e farlo fruttare?

Si tratta di scovare e fare uscire dai loro nascondigli i coltivatori non ancora rassegnati, identificare uno spazio nel quale possano sentirsi liberi di mettere a frutto il loro modo di operare contribuendo all’equilibrato scorrere delle attività quotidiane di tutti, valorizzare il loro ruolo e il fondamentale contributo che la loro “normalità” può apportare alla dinamica “diversità” della azienda, soprattutto agli occhi del conquistatore di turno.

HO UN PILOTA IN MAGAZZINO

Componente della banda musicale municipale

Intervento, come potete ben capire, estremamente delicato; bisogna riuscire ad operare con delicatezza senza stravolgere il delicato equilibrio delle attività correnti, dei ruoli dei diversi attori, delle relazioni interpersonali e delle convinzioni intime di ciascuno.

Si tratta di consolidare conoscenze e fiducia, consapevolezze e valorizzazione di ciascuno nei confronti di se stesso e di tutte le altre persone che agiscono nel suo intorno.

Tutti noi, parlo dei consulenti in queste aree, abbiamo dovuto imparare a confrontarci e a trattare con le diverse personalità attraverso le quali si esercita il potere in azienda. Per questo tipo di interventi dobbiamo anche riuscire ad infilare nel bagaglio di conoscenze e strumenti che ci portiamo dietro, nuovi e più potenti attrezzature: il gusto della ricerca dell’ignoto, la voglia di uscire dalle strade conosciute e già percorse, il piacere della sorpresa, la passione della ricerca del tesoro che sappiamo esistere anche se non abbiamo una mappa per orientarci, e, elemento indispensabile, a tutto questo dobbiamo aggiungere una dose extra di umiltà.

Delicatezza e umiltà, doti caratteristiche dei coltivatori, per entrare in sintonia con loro, riconoscerli ed esserne riconosciuti.

COLTIVATORI NELL’OMBRA

Non sempre ricoprono nell’organizzazione i ruoli di responsabilità allineati alle loro capacità, spesso però si dedicano con successo ad attività extraprofessionali che permettono loro di sentirsi utili. Qualche esempio frutto di osservazioni reali: animatore di attività giovanili, dall’allenamento della squadra di calcio dell’oratorio alla organizzazione della festa del paese. Insegnante volontario di lingua italiana. Pilota trainatore di alianti. Componente della banda musicale municipale.

Non sono scelti o riconosciuti dai loro colleghi  come leader informali, anche perché la scarsa affinità e le evidenti difficoltà di comunicazione che hanno con il capo non consente loro di svolgere ruoli di mediazione efficaci; però è probabilmente a loro che molti si rivolgono se hanno qualche necessità di tipo organizzativo, burocratico o anche qualche difficoltà di tipo personale al di fuori della azienda.

Non sono neppure particolarmente simpatici, il loro modo di fare viene facilmente interpretato come una critica implicita (molto spesso accompagnato da parole di critica esplicita) a tutti i comportamenti e atteggiamenti approssimativi o rilassati con i quali entra in contatto; indipendentemente dal fatto che questi interferiscano o meno con il loro compito. I coltivatori intervengono a sostenere una piantina piegata dal vento anche al di fuori del loro specifico campo (e non vi spiego il gioco di parole).

Quando poi arrivano a ricoprire ruoli di management intermedio, a essere responsabili di altri collaboratori, non si fanno amare. Chiedono troppo a sè stessi quindi non sono mai soddisfatti dei risultati raggiunti dal team che guidano; sono sensibili più ai risultati eccellenti che avrebbero potuto raggiungere che a quelli, magari molto buoni, effettivamente raggiunti. Certo viene loro riconosciuto di non tirarsi indietro, di spendersi per il gruppo e di assumersi totalmente la responsabilità dei risultati, di qualunque livello essi siano.

Non sono neppure sempre presenti in azienda: nel panorama delle nostre imprese a base familiare, spesso profondamente radicate in una realtà territoriale, il territorio nel quale possono nascondersi preziosi tesori può anche trascendere la rigida burocrazia del libro matricola ed estendersi all’intorno della azienda, nella e nelle famiglie, nella realtà sociale.

Nella nostra esperienza ci è capitato di vedere soluzioni organizzative emergere dalle due chiacchiere di rito, in panetteria o dal macellaio, tra la moglie dell’imprenditore e quella di un caporeparto.

L’APPROCCIO ETNOGRAFICO

Bronislaw Malinowski
sbarcò nelle isole Trobriand

Allora, da dove cominciamo? Potremmo tentare approccio forse inusuale nel mondo un po’ brutale e cortigiano della consulenza, potremmo tentare con quello che Francesco Varanini definisce “approccio etnografico”.

Quando Bronislaw Malinowski sbarcò nelle isole Trobriand, forse non immaginava che la sua avventura, cominciata come conseguenza della Grande Guerra che stava per devastare la lontanissima Europa, avrebbe dato origine ad un nuovo metodo scientifico, ad un nuovo modo di fare ricerca culturale, ad un diverso modo di prendere in esame e valorizzare quella oggi definiamo genericamente  “diversità”.

L’osservazione partecipante è oggi patrimonio acquisito di ogni antropologo che si accinga a studiare un qualunque gruppo sociale e in fondo assomiglia proprio a questo l’intervento che in queste pagine proponiamo.

Certo che siamo più abituati, nel campo della consulenza e della formazione, così come purtroppo ancora in economia e in politica, al vecchio, semplice, immediatamente efficace approccio missionario, imbracciando, in sostituzione della fede e della croce, verità precostituite e ricette buone per ogni cucina (nel caso si butta via quella vecchia e se ne compra una nuova, che fa sempre girare il commercio).

Ma se vogliamo far affiorare la cultura esistente, portare alla luce i tesori nascosti e conservati gelosamente dai coltivatori, non abbiamo scelta: dobbiamo mescolarci, imparare il linguaggio, interpretare i riti.

Certo la differenza culturale  non rappresenta più la frattura abissale che ha dovuto superare Malinowski, ma se questo rappresenta una opportunità di intervenire con un discreto grado di speranze di successo, può d’altra parte rappresentare la base per la pericolosa creazione di una ingenua (quando non dolosa)  quanto fallace presunzione di pre-comprensione o pre-conoscenza.

UN ALLENATORE FUORI CAMPO

Se volessimo sapere in tempi rapidissimi e con discreta completezza l’opinione corrente della maggioranza dei collaboratori di una azienda dovremmo appostarci, non visti, alla macchinetta del caffè. Osservazione banale, ve lo concedo, ma che è necessario arricchire di un elemento fondamentale alla luce del nostro ragionamento: i coltivatori non fanno parte della maggioranza e, anche per questo,  non frequentano volentieri la macchinetta del caffè.

Per arrivare a loro è necessario creare spazi e tempi nei quali la riflessione e il confronto siano sentiti produttivi e la non omogeneità, comunque, un valore. Spazi e tempi nei quali il quotidiano non incomba con le sue urgenze e le sue consolidate strutture, ma che resti la realtà di riferimento.

Spazi e tempi nei quali il nostro allenatore, insegnante, pilota, clarinettista sentano che le loro capacità e conoscenze rappresentano un valore assoluto, non solo nell’ambito ristretto nel quale oggi lo esercitano. Che le motivazioni che li hanno spinti ad intraprendere una strada comunque faticosa e impegnativa di apprendimento ed addestramento sono quasi certamente le stesse per le quali affrontano l’espletamento delle loro mansioni professionali con la modalità che abbiamo definito del coltivatore.

QUALCHE DOMANDA PER VOI

La nostra ipotesi si basa su esperienze in aziende medio piccole; in esse il valore della presenza di queste personalità è chiarita dai risultati sul lungo periodo. Ma in altre aziende? In quelle più grandi? In quelle nelle quali non c’è un conquistatore a sballottare la realtà rendendola instabile?

Noi non abbiamo risposte da darvi, fedeli all’approccio etnografico dovremmo passare un po’ di tempo tra di voi, nella vostra isola. La nostra risposta potrebbe però essere, gesuiticamente, una serie di altre domande, ciascuna delle quali non prevede risposte predeterminate ma potrebbe rappresentare un ulteriore spunto di riflessione.

Pensate importante sapere se e quanti coltivatori ci sono nelle vostre aziende?

Pensate che le qualità caratteristiche dei coltivatori siano adeguate a ruoli di responsabilità? Quali?

Pensate che le qualità di allenatore, insegnante, pilota, clarinettista, siano utili per la vostra azienda?

Pensate utile sapere se e quali attività svolgono i collaboratori della vostra azienda al di fuori di essa?

Quali che siano le vostre risposte: BUONA CACCIA AL TESORO!

OSSERVAZIONI METODOLOGICHE

Consentitemi a conclusione di questo articolo due osservazioni metodologiche finali. In questo articolo ho più volte accennato ai consulenti e ai formatori, a certe modalità di intervento inefficaci o pericolose. Tengo a precisare che parlo innanzitutto per me stesso, ben consapevole che anche per me la tonaca del missionario rappresenta una veste facile da indossare e difficile da gettare alle ortiche.

In questo articolo utilizzato la metafora dei conquistatori e coltivatori; come ogni metafora nasce per rendere più chiaro un concetto, ma come ogni metafora quando viene presa a base per un intervento, operativo o decisionale, contiene in sé stessa un rischio di fondo: quella di essere una lente deformante: volendo troppo facilmente o troppo urgentemente leggere la realtà alla luce della metafora si rischia di leggere una realtà deformata.

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Persone & Conoscenze n. 58. Maggio 2010