
Nella vita di tutte le aziende che crescono esistono periodi particolarmente significativi, periodi nei quali la crescita realizzata o prevista viene sancita operativamente, quando la vita intima delle aziende viene scossa dalle conseguenze dei successi esterni: sono i periodi della riorganizzazione.
Di colpo consolidate mentalità e abitudini di lavoro vengono rimesse in discussione, si rivedono organigrammi e mansionari, si introducono nuovi strumenti di controllo, sotto la spinta di un imperativo: “Le strutture e le procedure interne dell’azienda si devono adeguare all’evoluzione del suo mercato.
Regola senza dubbio validissima; ma che fine fa l’uomo in mezzo a questa rivoluzione?
Spesso vittime di una scientifica ricerca dell’efficienza, di una puntigliosa caccia agli “sprechi” di tempo, di una rigida programmazione di eventi possibili e soluzioni predeterminate, vengono cancellati spazi di creatività e immaginazione, momenti di scambio di simpatie e comunicazione informale e una gran parte delle opportunità di crescita personale: quelle di prendere decisioni.
Decisioni che forse qualche volta erano sbagliate, ma che spesso erano giuste; e chi sa che non fossero proprio le decisioni sbagliate quelle più importanti per la crescita dei collaboratori!
E allora? Dobbiamo forse rinunciare all’organizzazione in nome dell’uomo e della sua insostituibile unicità? No di certo. Possiamo passare dall’organizzazione dei processi operativi all’ organizzazione dei processi decisionali.
Vediamo di chiarire. L’idea corrente (e purtroppo spesso anche la pratica) dell’organizzazione è quella di immaginare ogni possibile eventualità, identificarne la miglior soluzione, poi prendere delle persone ben addestrate a riconoscere le eventualità e a mettere in moto la soluzione corrispondente. Dei robottini in un ideale gabbiotto che reagiscano perfettamente: Caso A -> Soluzione A, Caso B -> Soluzione B, eccetera, velocemente e senza errori. Questa è, un po’ semplicisticamente, organizzazione dei processi operativi.
Ma le persone, fortunatamente, non sono robot; si sbagliano, si annoiano, si distraggono e tutto ciò li demotiva. Prima o poi arriva sempre il Caso X, il Caso non previsto, per il quale non c’è la soluzione corrispondente; allora il nostro robottino imperfetto applica la soluzione prevista per un altro caso, creando grossi pasticci, oppure (e a volte è peggio) si ferma, non fa niente, in attesa che qualcosa succeda.
– Abbiamo capito! – Grideranno a questo punto i preparatissimi lettori di Wonderful Time – Lei vuole dire che bisogna motivare, fare formazione, insegnare a far risalire i problemi al livello superiore dell’organigramma; ma tutto questo lo sappiamo e lo facciamo già! E che cos’è poi l’organizzazione dei processi decisionali?
Certo tutto ciò è vero: formazione, motivazione, rispetto dell’organigramma e dei mansionari sono fondamentali anzi sono le basi sulle quali costruire una nuova organizzazione che non solo sia motivante, ma che nel momento stesso della sua messa in pratica sia fonte di nuove motivazioni.
Il processo di riorganizzazione può essere infatti non un momento di scosse traumatiche, ma una grande opportunità motivazionale. Come?
Con un approccio nuovo: l’organizzazione dei processi decisionali. Ne parleremo in un prossimo articolo.
Trovate l’articolo successivo a questo indirizzo https://parolemiti.net/2005/01/01/regole-ed-eccezioni/

Questo articolo é stato pubblicato sulla rivista Wonderful Time, nei primi anni del 21° secolo.
questo articolo mi riporta indietro nel tempo, bei ricordi!
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