di fronte a quel tutto bianco senza tracce se non scarse impronte di animali

Camminava nel vento gelido come su una corda di ghiaccio tesa sul nulla. Le spalle incassate sullo sterno a proteggere quel poco di calore residuo sulla pelle, nonostante la maglietta della salute, il dolce vita di lana, il vecchio maglione caldo di avventure trascorse, la felpa, sciarpa, berretto, giacca a vento imbottita con il cappuccio sollevato. Come in un bozzolo che il vento avesse strappato via. Ogni tanto, sollevata la testa, lo sguardo sopra la montatura degli occhiali e oltre le sopracciglia a illuminare un percorso verso una meta ancora lontana dal calore della speranza.

Minuscole goccioline d’acqua gelate, acute come le battute pungenti di lei quando facevano male davvero, sparate dal vento instancabile risuonavano come nacchere in miniatura sulla giacca a vento bordò. E ferivano la vista incerta.

La prossima volta sarebbe andato in macchina, anche se erano solo quattro isolati, sarebbe andato in macchina. Anche se era contrario ad ogni suo principio sullo stile di vita sostenibile, sarebbe andato in macchina. Ma tanto sapeva già che no.

E gli veniva in mente l’ultima volta che era andato a sciare ed era triste che allora non avesse capito che sarebbe stata l’ultima volta e aveva ceduto alle sue insistenze di lasciar perdere, fa troppo freddo, c’è vento, ed era riuscito a scendere una sola pista, così, tanto per vedere se le gambe tenevano ancora. Tenevano.

Lui che arrivava ai primi di Dicembre, quando ai primi di Dicembre nevicava già e faceva già un freddo cane, magari non come adesso, ma freddo freddo, all’attacco della Val Ferret di fronte a quel tutto bianco senza tracce se non scarse impronte di animali evidentemente meglio attrezzati di loro, e con Sandro cominciavano a disegnare con gli sci i percorsi ideali per mettere insieme la forza, lo stile e voglia che li avrebbero portati verso la MarciaGranParadiso.

Questa sera non c’era la neve, non gli sci, non il silenzio calmo della montagna, non la sfida obbligante. Solo vento pungente, freddo umido e poca voglia di tornare a casa. A casa, nel tepore molliccio dei termosifoni a palla, nel rumore ottundente della televisione, nel vuoto di presenze distanti, nel tempo vischioso scandito da mille azioni stancamente abituali.

La prossima volta sarebbe andato a sciare, anche da solo, sarebbe andato a sciare. Anche se avevano sempre cercato di condividere ogni esperienza, sarebbe andato a sciare. Ma tanto sapeva già che no.

Solo perché non aveva voglia di spiegare, di cercare equilibri, di discutere. Strapparsi di dosso tepore, rumore, vuoto, tempo vischioso; quanta fatica! Quanto dolore! Per che cosa poi? Non avrebbe trovato sulle piste oramai affollate di comodità, niente di quello che sentiva mancare anche se non sapeva davvero che cosa cercare per riempire i suoi vuoti.

Forse c’erano altre destinazioni possibili e forse già il solo partire avrebbe occupato una parte dei suoi vuoti. Il freddo rallentava i suoi pensieri, il vento li faceva ondeggiare, l’avanzare quasi cieco cancellava riferimenti, gli sembrava di tutto volere, nulla potere.

Forse volere bastava, bastava a cominciare, bastava a rifiutare l’idea di non potere, bastava a…

Forse bastava aprire le braccia, uscire dal bozzolo incontro al vento. Offrirsi anziché proteggersi da lui; il vento avrebbe potuto prenderlo e portarlo con sé, via da quel buio lattiginoso, soffiarlo come un aquilone, in alto.

Chissà com’è il mondo visto dall’alto, volando, dico, con solo il rumore del vento che poi magari più in alto si placa. E incontrare tutti gli altri che volano, chi portato dal vento, chi dalla forza delle ali che nel frattempo sono spuntate dal bozzolo, chi galleggiando sui sogni. E raccontarseli i sogni, i progetti lasciati ad asciugare al sole fino a che diventino dolci che anche solo a pensarli fanno stare bene.

Qui su, in alto, si sta davvero bene. Lo sguardo spazia su ogni possibile avventura, su ogni città da scoprire, ogni pista da scendere, ogni palco da costruire, ogni green da giocare, ogni mare in cui bagnarsi, ogni libro da leggere, ogni persona da conoscere. Qui su, in alto, si sta davvero bene. Ogni persona che ti circonda, massaggiata da pensieri roteanti o che corra verso imprevisti tonificanti, ti viene voglia di conoscerla. E sai che finalmente hai trovato orecchie in cui poterti specchiare e voci sulle quali scorrere via veloce.

E guardando giù anche i paesaggi abituali adesso ti sembrano meno opprimenti, meno inutili. Perché sai che se ne può uscire, basta aprire le braccia al vento, per uscire dalla prigione delle abitudini. Le abitudini sono un bozzolo che non si schiude se non lo violenti, Ma si può. Sì, basta volere.

Ma devi anche saperlo che basta volere, allora guarda giù e pensa che deve andare a dirglielo. A tutti quelli che possono capire, a tutti quelli a cui sa di voler bene, a cui vuole bene abbastanza per fare lo sforzo di scendere a dirglielo. Ma c’è davvero qualcuno? Qualcuno che possa capire, dico. Non lo so ma devo provarci!

Ma bisogna fare in fretta, prima che cali il vento, sennò mica li può portare via, anche se aprono le braccia.

Dio, come si sta bene qui. Viene voglia di correre, bisogna correre, prima che cali il vento.

E allora corre, contro il vento gelido come su una corda di ghiaccio tesa sul nulla e prende il volo.

Il medico ha detto che il cuore non ha retto; deve aver fatto uno sforzo eccessivo, il freddo ha fatto il resto.

Chissà com’è il mondo visto dall’alto, volando