
Era passato un corriere e, come al solito, non c’eravamo.
Appena sceso dalla macchina avevo visto il foglietto della mancata consegna attaccato al campanello e, come al solito, avevo sentito un leggero vuoto al petto: “Un’altra multa” ho subito pensato.
Lo so, è stupido, ci si sente sempre in colpa per qualcosa, la reazione immediata è di essere stato scoperto e di dover pagare il prezzo, come quando per strada si intravede in lontananza la macchina dei Carabinieri ferma a lato; cintura allacciata, velocità non eccessiva, comunque, meglio rallentare un pochino, e metti in tasca il cellulare, non si sa mai.
Oppure come quando, magari su Facebook, leggi un post di quelli un po’ strappalacrime che ti spiegano come tu, proprio tu, potresti salvare tante vite di bambini africani denutriti e tu pensi che sì, devi proprio fare qualcosa quando avrai finito di scorrere i post di Facebook. Ma nel frattempo altri post avranno suscitato in te indignazione, ilarità, commozione fino a che le tue colpe verso i bambini africani denutriti saranno dissolte.
Non era una multa, quelle le porta la posta mica un corriere, ma, come al solito, non c’era scritto niente che potesse lasciar supporre contenuto e provenienza della mancata consegna. Non mi sembra che aspettassimo niente da Amazon, anche se compriamo lì abbastanza spesso. Proprio ieri Bianca mi aveva chiesto l’indirizzo esatto ma era davvero impossibile che un eventuale spedizione da lei fossa già arrivata e poi mi aspettavo una busta non un pacco, anche se, a pensarci bene non mi aveva mica dato indizi in questa o in altra direzione.
Va be’, la faccio corta, il corriere ripassa il giorno dopo e questa volta siamo in casa. Arriva il pacco, mittente una nota cappelleria di Milano. Un cappello? E chi mi manda un cappello? E perché?
Apro a fatica il pacco impenetrabile come la caverna dei quaranta ladroni, neanche a dire “Apriti sesamo”, che mi ha sempre fatto pensare a quanto debba essere difficile aprire un seme di sesamo, anche se forse il sesamo davvero non c’entra niente con Ali Babà.
Il pacco alla fine si è aperto senza bisogno di formule magiche ma con abbondante ricorso ad un oggetto tagliente, rivelando una scatola Borsalino. Borsalino?! Cavolo la cosa si fa seria!
La scatola è più facile da aprire e da dentro mi occhieggia impertinente uno spiritoso panama; classico panama nella lavorazione del materiale, classico Borsalino nella forma.
Mi invita. Lo calzo. Mi sta. Perfettamente.
Di colpo l’ingresso fresco e ombroso mi si riempie di luce, la corrente creata ad arte aprendo le finestre di entrambi i lati della casa per combattere l’afa di questa estate meridionale, assume un lieve sentore salmastro. Indosso un completo di lino bianco con il gilet arancione, più color zafferano per la precisione. Mi alzo lentamente in piedi con il portamento di un Yanez De Gomera (più in versione Davide Van De Sfroos che Philippe Leroy ché se no sarei scattato in piedi, anche se per questo bisogna aver superato il mezzo secolo). E sono nel viaggio.
In piedi sulla tolda di questa nave (mi ricordo che al tempo delle letture salgariane lo pensavo facile, mi dava l’impressione di solidità e equilibrio; quando poi mi è capitato di esserci davvero mi sono reso conto che non è per niente stabile, la tolda. Bella parola vero? Sarà l’assonanza, ma la nave mi appare come un enorme guscio di noce muscoloso e determinato. Ma non si devono fare parentesi così lunghe!). In piedi sulla tolda di questa nave, dicevo, vedo apparire all’orizzonte una terra, deve essere una di quelle isole della Malesia dove sulla spiaggia stuoli di giovani e bellissime ragazze seminude sono pronte ad accoglierci danzando. E già m’immagino nei loro sguardi quella promessa ammiccante e lasciva.
Ma in fondo sono una persona seria, ho una certa età, il fisico più Van De Sfroos che Leroy, soffro anche un po’ di mal di mare e la mia dieta simil vegana mi sa che non reggerebbe i tempi di un viaggio nel Mar Cinese Meridionale (anche se il Mar di Giava o il Golfo del Siam avrebbero una consonanza più avventurosa).
Quindi forse è un altro viaggio quello in cui sono. Il salmastro nell’aria arriva dall’Adriatico poco sotto di me, in quel tratto della via Francigena che scorrerà tra Brindisi e Bari, ma che per me oggi è già pronto. Il bello dei Cammini in questo ventunesimo secolo è che ti permettono di sentirti un pellegrino medievale oppure un hippy un po’ in ritardo oppure un ambientalista praticante oppure quello che vuoi, avendo a tua disposizione agi e servizi sufficienti.
Oppure sentirti un Yanez De Gomera un po’ spaesato come mi sento adesso. Ma so che potrò camminare fino alla fine, non solo fino a Calais. Potrò anche prendere un qualche bivio imprevisto, una deviazione nello spazio e nel tempo, che so, trovarmi ad imboccare il Cammino di Santiago e arrivato sulla costa dell’Atlantico imbarcarmi su una nave a guscio di noce, muscolosa e determinata e sulla sua tolda…
Sì, però la Via Francigena qui al Sud non è ancora completata e gli agi e servizi sufficienti lontani dall’essere disponibili, oggi.
Ma c’è certamente un viaggio che mi aspetta.
Ancora non so dove mi porterà ma sento che questo panama è davvero quello che mi mancava, anche se non sapevo qualcosa mi mancasse, per affrontarlo. In realtà non sapevo nemmeno che un viaggio mi aspettasse.
Devo capire adesso se imbarcarmi o mettermi in cammino, quanto spazio lasciare al ragionevole, quanto all’imprevisto, se partire da solo o con chi, quanto affidarmi, darmi un tempo; un tempo per partire, un tempo per tornare. Programmare un ritorno?
Che senso ha programmare un ritorno da un viaggio appena intravisto alla luce accesa da un panama Borsalino? Che senso ha programmare un ritorno se pensi di partire vestito come Yanez? Che senso ha solo pensarci, al ritorno?
Ma allora ha senso anche solo pensare alla partenza? Anche solo pensare al viaggio?
Troppe domande. Troppe domande rischiano di spegnere gli entusiasmi. Allora ci penserò domani, forse. Intanto chiudo la scatola.
Ci penserò domani. E chissà chi me l’ha mandato questo panama.

Una delle cose scritte dall’Autore che fin qui ho preferito. Il sogno e il viaggio. L’oggetto che sprigiona un mare di sensazioni, che fa circuitare pensieri e riflessioni, che risveglia progetti che se ne stanno appena appena sottopelle… Ne vogliamo ancora di scrittura così, ancora, se possibile. Con buona pace di Bruce. Complimenti all’Autore.
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